Conoscere il menu non significa conoscere il risultato. La cucina della Dea non è più piccante come ai tempi del Papu e di Ilicic, anche se Gasp sa calibrare i piatti. La Juventus è un’avventura di passato, agitata dalle bollicine di Iling Junior, vendemmia del 2003, un vino che Max l’enologo suggeriva da mo’. E’ stato, così, un mezzogiorno di bollori e bolliti, con i camerieri (De Roon ed Ederson, Locatelli e Fagioli) che tardavano a servire: un po’ per la ressa, un po’ per l’abbiocco.
Insomma: sapevo cosa avrei ordinato e cosa avrei mangiato. Poi c’è il conto, che tra inflazione, azione e reazione può variare, può impennarsi. Se l’Atalanta non è stata fortunata (pali di Scalvini all’inizio e di Zappacosta alla fine), Madama, nello scegliere le pietanze, ha avuto più occhio, più gusto. Alludo al gol con il quale Samuel Iling Junior ha sbloccato la siesta, improvvisamente, su iniziativa di Rabiot e rimpalli generosi.
Ecco. Era il 56’. Max non credeva al suo fiuto. Secco e perentorio lo schioccar di dita verso i commensali: tutti indietro. Dai cambi ci ha guadagnato più lui che l’Ego di Bergamo, tanto che, quando ormai si pensava all’amaro, Chiesa suggeriva a Vlahovic il contropiede dello 0-2. Per la cronaca, e per la storia, il serbo se n’era mangiato un altro poco prima, complice Sportiello.
Va rivelato che da altre tavolate si sono levati rutti zingareschi nei confronti di Vlahovic. Il signor Dov’eri ha interrotto il servizio, ma pure ammonito il centravanti per eccesso di esultanza, così mi è parso di capire. Gravina, do you remember Lukaku? Ah, questi ristoranti all’aperto. Ah, questi avventori.
Di Szczesny ricordo una parata su Koopmeiners. Di Pasalic, un tiraccio da eccellente contorno. Tutto il resto, mancia. E una «ricevuta» che va messa in bacheca. A imperituri languorini.